racconto di Madame Nicole
Venerdì sera. Uno dei tanti.
Quando ho cominciato a lavorare al club di Daniele, molti aspetti della mia vita si erano messi in ordine. Il lavoro era buono e nonostante le premesse iniziali, le serate “speciali” come le chiamava il mio capo, erano rare. Con lo stipendio e le mance da dealer la mia quotidianità era tutt’altro che noiosa.
C’era qualcosa che mi mancava però.
Ogni notte al tavolo da gioco vestivo il ruolo della padrona indiscussa della stanza. Niente poteva accadere tra i giocatori senza il mio consenso. Il mazzo di carte poteva essere sempre sotto il mio controllo, se lo avessi desiderato. Più diventavo consapevole del mio potere, più una parte di me quel potere sognava di cederlo ad altri, anche solo per un paio d’ore. Per non pensare troppo, per essere guidata, accudita. Diventare il frutto della scelta altri.
Entrai nel nightclub di Leon un venerdì sera, uno dei tanti. Daniele dopo il lavoro mi aveva proposto di bere un gin tonic in compagnia, dove nessuno ci avrebbe rotto il cazzo. Il posto lo conosceva lui, disse, aggiungendo “E non farti strane idee: sono il tuo capo, non ci provo con le mie dipendenti”.
Il nighclub era pieno di fighe che ballavano, al bancone erano seduti un paio di cinquantenni. La musica a mille. Daniele si fece strada tra le sale del locale. Sapeva già dove andare, proseguiva sicuro, sembrava non avesse nemmeno bisogno di vedere.
Un buttafuori robusto ci lascia oltrepassare una tenda socchiusa in fondo a destra.
Daniele si avvicinò al barman per chiedere i due cocktail per poi accomodarci in un divano bordeaux senza occhi addosso. C’era gente che scopava, ragazze che frustavano un vecchio messo a pecora. C’è un Master, credo un habituè, che sorrideva a una ragazza seduta vicino a noi. Nessuno mi conosceva per fortuna.
Parlo con Daniele della serata, degli incassi del mese e ci accordiamo per qualche giorno di ferie che mi sarei presa per farmi un weekend a Londra. Un po’ di svago, prima dell’inizio dell’autunno. Daniele fuori dal club di poker era gentile, sempre sorridente. Non mi capitava spesso di vederlo con il volto così rilassato. Dopo aver bevuto il primo, e poi il secondo, gin tonic, Daniele prese la carpetta vicino a lui per estrarre una maschera grigia. Me la mise tra le mani sussurrandomi “Io ora vado, perché non ti diverti un po’ anche tu?”
Rimasi seduta da sola con la maschera tra le mani mentre attorno a me ognuno continuava in quest’inferno paradisiaco.
Accanto a me c’è una ragazza dai capelli castani e gli occhi molto truccati, non portava la maschera a differenza di quasi tutti gli altri.
Sta guardando quello che accade di fronte a lei che è all’incirca questo: il Master di prima che avevo visto entrando sta porgendo bicchiere di cristallo senza parlare a una ragazza seduta con una maschera di piume nere e una lacrima disegnata nel volto. Lei prende il bicchiere, lo alza a ‘mo di brindisi e si bagna le labbra. Lo osservo mentre torna a prendersi cura della sua schiava poco più in là. La sua schiava non si era fatta notare, passava il tempo perlopiù in ginocchio di fianco al muro a succhiargli il cazzo.
La ragazza accanto a me non toglie gli occhi di dosso dai tre.
Intravedo il Master accarezzare la testa della puttana ai suoi piedi. Ha gli occhi colorati di nero, la ragazza e un corpetto le fascia la vita sottile. Il Master è in piedi, con le dita le solletica le orecchie, lei muove il faccino strofinandosi sul pantalone liscio di lui. Sorride sorniona. Niente sembra distrarla, né la musica né chi si fa sodomizzare attorno a loro.
Poi succede qualcosa. Nasce tutto da uno sguardo impercettibile del Master che si volta, e guarda la ragazza con la maschera di piume e poi sussurra qualcosa all’orecchio della schiava. Lei abbassa lo sguardo, prende un nastrino che le poggia tra le mani il Master e va gattonando di fronte a lei. La schiava alza il volto e la guarda. La ragazza con la maschera di piume cerca di accarezzarle la testa pensando forse che il Master le stia portando in dono la sua cagna. Ma la schiava si scosta.
Do un’occhiata veloce all’uomo che sta scuotendo il volto come se stesse dicendo “No”. Guardo di nuovo la schiava: ha le mani tese verso la ragazza con la maschera di piume e con il nastrino di raso tra le dita si avvicina al suo collo.
Quel collare è per lei. Figlio di puttana, penso ridendo tra me e me. La ragazza con la maschera di piume si fa legare il collarino, senza staccare lo sguardo dall’uomo in segno di sfida. Ma le cose non procedono come le stavo immaginando. La schiava con movimenti veloci e decisi si alza e da le spalle. Vedo finalmente il suo culo sodo aperto da un meraviglioso plug anale di pelo. Un batuffolo morbido le sbuca dall’orifizio. Senza voltarsi prende in un pugno una ciocca di capelli della ragazza con la maschera di piume e la guida verso il Master, mettendosi di fianco a lui.
Il Master solletica il mento della ragazza con la mano destra, lei gli lecca le dita, ma la schiava, ancora in piedi, le dà uno schiaffo. Ridono. Fanno stendere a terra a la ragazza con la maschera di piume. Il Master le apre le gambe e alza la gonna. La schiava si siede a gambe divaricate sopra la faccia, impedendo alla donna di vedere l’uomo. La figa della schiava poggia sulla bocca, e anche se la maschera rende un po’ macchinoso il tutto, non gliela sfila, anzi, si assicura che sia sempre ben fissata alla nuca.
La ragazza con la maschera di piume è eccitata, si sta divertendo, penso.
Poi, senza preavviso, vedo il Master slacciarsi i pantaloni e prendere in mano il cazzo per scopare la ragazza con la maschera di piume. Le tiene le gambe aperte e sbattendola con colpi decisi. Il suo ritmo è veloce, entra ed esce senza tregua.
La musica pompa uno dei miei pezzi musicali preferiti.
La ragazza senza maschera seduta accanto a me non batte ciglio. Mi avvicino a lei cercando di approciare un discorso “Ti stai annoiando anche tu?”. Non è convincente come inizio ma di meglio non riuscivo a dire.
“Sto controllando”
“Cosa?” dico stupita.
“Se la mia ex proprietà si sta comportando bene. Non che la faccenda mi riguardi più.”
“Cosa intendi?”
La ragazza senza maschera mi indica la schiava con il batuffolo nero.
“L’ho ceduta qualche giorno fa. Mi piace assicurarmi che i miei insegnamenti non siano finiti nel cesso”. Sorride.
“Come ti chiami? Le chiedo”.
“Alice. Ma non dovresti chiedermelo qui dentro. Non ti ha spiegato un cazzo Leon?”
“Come sai che conosco Leon?”
“Leon condivide le informazioni utili, quando lo ritiene necessario. E, per la cronaca, se non fosse per me non staresti lavorando al club ora”.
Cosa…?
Non chiedo altro. Aggiungo solo un po’ stizzita:
“Mi chiamo Viola, ma sono sicura che sai già anche questo”.
Alice sorride.
“Perché sei qui stasera?”
“Faccio un giro.” rispondo vaga. Non voglio parlare di Daniele né dare dettagli in più. Non voglio che tutti sappiano di me, di chi sono e cosa faccio.
Alice continua a guardarmi.
“Indossa la maschera, vorrei vedere come ti sta.”
Appoggio al viso la maschera grigia, unendo dietro la nuca i laccetti sottili per fissarla. Alice si avvicina e mi bacia. Mi piace quel bacio è dolce, profumato, erotico. Mi morde le labbra con delicatezza. Muovo la lingua intrecciandola alla sua, scoprendo la sua bocca sempre con più foga.
Tra un bacio e l’altro mi sussurra qualcosa.
“Cosa cerchi Viola?”
Cosa cerco, non lo so, questo? non lo so. Mi chiedo se sia davvero un caso tutto questo o se sia l’ennesimo teatrino organizzato alle mie spalle. È un prova? Un test da superare?
La pelle di Alice è liscia e morbidissima, lo posso sentire anche se quasi non la sto toccando.
“Cerco spazio, leggerezza, voglio perdere il controllo. È questo che desidero.”
E lei arriva dritta al mio cervello con quelle tre parole magiche.
“Vuoi essere mia?”
“sì”
Non so bene cosa significhi essere sua, essere di Daniele, di Leon o di chiunque altro.
Alice sorride e mi fa appoggiare la testa sulle sue ginocchia. Mi accarezza i capelli. Chiudo gli occhi e svuoto la testa. Mi godo questo fottuto inferno. Ancora per qualche ora posso starmene qui, alla mercé di Alice, con poco più in là il Master, la ragazza con la maschera di piume, la sua schiava col batuffolo nero.
Un venerdì sera. Il primo, di tanti altri.