Mi hanno detto di parlare con te – Mafia Romance

Racconto Mafia Romance

racconto di Madame Nicole

Mio padre era stato tranchant: “non puoi lavorare qui, non ne saresti in grado. Non è il tuo momento”. Le sue parole mi erano arrivate dritte in faccia quando ho chiesto ufficialmente di poter entrare nella società di famiglia: gemmologi da almeno due secoli, i migliori esperti di diamanti della città da generazioni.

“Mi dispiace Viola ma qui non puoi lavorare. Qui entra gente che non guarda in faccia nessuno: non possiamo mettere al bancone il tuo bel faccino. Non sai trattare con gli uomini. Non ancora” sottolineava con gli occhi di ghiaccio nonostante il mio controbattere acerbo e supplicante “È impossibile trovare lavoro papà”.

Di fronte al mio sguardo rassegnato, solo un gesto: mi mise un foglio tra le mani con un indirizzo. “Vai da Leon, digli che ti mando io” e poi uscì dalla porta sul retro lasciandomi in piedi, da sola, con soli dubbi e paure. 

Il giorno dopo ero di fronte al civico numero 9. Ad accogliermi, Leon in persona. Non l’avevo mai visto in faccia, solo sentito nominare negli anni perché, a detta di mio padre, in città niente accade senza il suo consenso.

“Sono Viola, la figlia di Lachmount. Mi hanno detto di parlare con te”. 

“Cosa ti serve?” disse sedendosi sulla poltrona di pelle dietro la scrivania lucida e nera.

“Un lavoro” sospirai, e senza trattenermi aggiunsi “Devo guadagnare, ma non voglio fare la puttana”. Il mio sguardo volse verso il basso, intimorita, spaventata dalle mie stesse parole. Perché parliamoci chiaro, li conoscevo i locali di Leon. E non mi sarei ritrovata a ballare per cinquantenni mafiosi. Mai.

“Non potresti fare la puttana nemmeno se studiassi come farlo per i prossimi dieci anni. Cosa ti fa pensare che sia un lavoro facile? Pensi che basti saper muovere il culo?”. Rideva, oscillando leggermente sulla sedia.

“E così Lachmount ti manda qui. Molto bene. Vediamo cosa puoi fare per me.” mi guardò per qualche secondo prima di esclamare: “Fammi vedere le tue mani”. Non capivo il senso di quella richiesta, ma appoggiai le mani sul banco, con i palmi rivolti verso l’alto per poi girarle. Non indossavo né anelli né smalti. Muovevo le dita per eseguire quella buffa richiesta. 

“Sai suonare il pianoforte?”

“Sì, discretamente”.

“E dimmi, come te la cavi con la matematica?”

“Il giusto per poter capire quando qualcuno dà il resto errato al laboratorio”.

Leon chiuse gli occhi di nuovo.

“Al club di Daniele, serve una dealer. Puoi cominciare Lunedì. Comincia a fare lunedì-martedì-mercoledì. Poi vediamo. Ti insegnerà lui. Se sarà soddisfatto, poi ci penserò io. Personalmente.”

Io? Una dealer? E come pensava che avrei imparato in poco più di 48 ore? Leon non aggiunse altro, mi invitò a uscire. Avevo 2 giorni per vedere l’impossibile su YouTube e imparare a destreggiarmi con il mazzo di carte. Non era l’aspirazione della mia vita, ma era meglio di niente. 

Il Lunedì seguente, poco dopo l’ora di pranzo, mi presentai a Daniele, che mi aspettava puntuale. Il club era ancora chiuso. “Benvenuta Viola, puoi accomodarti lì” disse indicando lo sgabello accanto al tavolo da gioco. “Fammi vedere cosa sai fare” continuò senza molti convenevoli e mettendomi davanti alle mani un mazzo di carte nuovo, appena aperto. Feci un respiro profondo e cominciai a far danzare le mani cercando di imitare la gestualità vista nei video dei tornei online. 

“Non male, continua ad allenarti. Tra un’ora il club sarà pieno e sono certo che tutti vorranno essere al tavolo della biondina dal faccino nuovo. Non dimenticare: il tavolo ti appartiene, sei la padrona di quello che accade attorno a te. Alza leggermente la mano sinistra se mi devi chiamare. Se sei in difficoltà, se il gioco non gira come vuoi. Ferma tutto. All’inizio ti sembrerà che non sia così, ma sei tu a dettare i tempi: sei tu che comandi. Non puoi permetterti nessuna esitazione. Devi essere impassibile. Ci sarà chi ti insulta, chi ti darà della troia perché non ha ricevuto delle buone carte. La maggior parte della gente esce supplicando da qui. Lo faranno anche con te. E tu, non devi avere uno sguardo per nessuno. Dai le carte, conta il piatto, assicurati che tutto fili liscio.”

Ero molto tesa, ma non avevo niente da perdere. E l’idea di sentirmi la padrona di qualcosa – anche se non sapevo bene cosa intendesse – mi piaceva, mi faceva sentire bene.

La prima sera filò tutto liscio. La seconda pure. E quando finì la notte di mercoledì avevo già guadagno 8k di mancia. Ero incredula. Mi resi conto presto tuttavia che non era solo questo il progetto che Leon aveva per me.

Dopo 30 giorni, il solito Lunedì sera, Daniele mi fece entrare al club. Ma non sarebbero arrivati clienti quella sera. 

“Sai Viola, di dealer se ne possono trovare tante. Tu te la cavi bene, sei brava, ma non ci basta questo.”

Non capivo.

“Vedi”, continuò e iniziò a muovere le carte “una vera padrona di casa, ha il controllo di quello che accade nel proprio tavolo” e sorrise voltando due assi di fronte a me. “Ad esempio, una buona dealer, saprebbe che adesso dopo aver mescolato ti darò una coppia di Jack mentre terrò per me una coppia di Donne. Guarda le carte”. Disse indicando la coppia coperta che aveva posato di fronte a me. Ero allibita: come aveva fatto? Mescolava le carte esattamente di fronte ai miei occhi, ma sapeva con certezza cosa mi avrebbe dato.

“Come fai?”

“Ti insegnerò”.

“È questo che vuole da me Leon?”

“Leon mi ha dato 100k per farti stare qui. Pensi di valere il suo investimento?”

Restai ammutolita. Perché qualcuno avrebbe dovuto pagare così tanto per me? Ero confusa e contrariata. Ma Daniele quasi anticipando una mia reazione aggiunse “Leon ha buon occhio per gli affari. Se lo ha fatto, sa che lo puoi fare. Allora, cominciamo?”

Uscii dal club 72 ore dopo, dormendo ogni tanto sul divano d’ingresso. Per la prima volta cominciamo a sentirmi forte e sicura. Daniele ogni tanto riusciva anche a scherzare. E io davo, contavo, controllavo le carte sempre con più destrezza.

“Ora vai a casa, rilassati. Dormi e fatti bella. La prossima settimana, credo che Leon vorrà occuparsi personalmente di verificare il tuo apprendimento. Non potrò aiutarti: ricordati solo questo. Sei tu a comandare quando sei seduta al tavolo e niente di quello che accade attorno a te né può né deve turbarti”.

Andai a casa. Felice, nervosa, emozionata, eccitata. Tutto assieme. Un mix che mi rendeva vulnerabile ed esplosiva. Non sarei riuscita a dormire molto. 

Il Lunedì successivo, prima di andare al club, feci un lungo bagno caldo, lavai i capelli biondi con cura, misi del buon olio, il mio profumo preferito. Un abito aderente e delle scarpe col tacco a spillo. Volevo essere bella. Perfetta.

Suonai il campanello del club con il cuore in gola. Daniele venne ad aprire la porta questa volta senza molte parole. Dentro, con un bicchiere di Rhum in mano, c’era Leon, con lo smoking nero.

“È arrivato il tuo momento Viola. Spogliati”. 

Cosa? Pensai senza parlare.

“Spogliati Viola e siediti al tavolo con i capelli legati. Una buona dealer non ha bisogno di vestiti, né di capelli con cui distrarre, né maniche lunghe da far ondeggiare per distrarre i giocatori. Se vuoi farmi vedere che lo puoi fare, devi essere nuda, vestita solo del tuo talento e delle tue capacità. In caso contrario, sai dove è la porta”.

Leon si allontanò appoggiandosi alla parete con il suo bicchiere di vetro e due dita di liquore. Io chiusi gli occhi e mi spogliai, posando i vestiti in un angolo e andando nuda e scalza verso il mio posto, nel tavolo centrale.

Daniele si avvicinò “Tra poco arriveranno sei giocatori e un paio di amici del club, che non giocheranno. Ricordati Viola, tutto quello che accade attorno a te non esiste. Ci sei tu, il tuo fottuto tavolo da gioco, le carte e le marionette che hai sedute al tavolo. Ah, dovrai far vincere l’uomo alla tua destra. Lui non lo sa. Dalle prime dieci mani dovrai capire il suo modo di giocare, di puntare, di gestire lo stress. Così dovrai fare per anche per gli altri altri. Quando avrai capito il carattere di ogni giocatore, comincia a dirigere il gioco. Deve vincere lui. Non farti beccare. Non saremo qui a proteggerti se accade”.

Cercavo lo sguardo di Leon, ma non mi guardava, era intento a sorseggiare il distillato. Dopo mezz’ora di silenzio arrivarono i giocatori senza risparmiarsi qualche commento nel trovarmi senza vestiti. “Daniele, che accoglienza stasera! È un modo per dirci che dobbiamo pagare il doppio?” Io ero immobile, sorridente e sorniona. Quando tutti si sedettero al posto assegnato iniziò il gioco. Il mio gioco.

Peccato fosse anche il gioco di Leon. Nel club arrivò altra gente, un paio di ragazze con abiti succinti, qualche uomo, una donna con un frustino dentro agli stivali alti. Senza distogliere gli occhi dal tavolo potevo sentire la presenza di ognuno. Qualcuno iniziò a pomiciare nei tavoli a fianco e potevo sentire indistintamente i gemiti di una coppia che stava scopando a pochi metri da me. Al tavolo percepivo la tensione di ogni giocatore e iniziavo a testarli uno ad uno vedendo la loro reazione alle carte che gli consegnavo. Se volevo far vincere l’uomo di fianco a me, dovevo poter prevedere le mosse di ciascuno.

Poi successe qualcosa. Dietro a me due o forse tre uomini cominciarono a fare apprezzamenti sul mio corpo, come se si stessero masturbando alle mie spalle. Non potevo vederli, ma dagli occhi dei miei giocatori era chiara la scenetta che si stava delineando.

Non feci una piega, continuai il mio gioco senza timore, prendendomi il tempo necessario, senza accelerare. “Chissà se quella puttanella capisce che ora le riempiamo la schiena” disse uno di loro mentre gli altri ridevano. Flop, puntate, turn, puntate. E ora il river. Quando il tipo di fianco a me vinse la mano importante che lo avrebbe portato in netto vantaggio e che mi avrebbe permesso di avere a portata di mano le carte buone per le giocate successive, gli uomini dietro di me mi vennero addosso. Sentii lo sperma colare sulla schiena e vidi un goccia posarsi sulla carta del tavolo.

Senza parlare, accennai ad alzare la mano sinistra e chiesi a Daniele un nuovo mazzo di carte intonso. Daniele arrivò al tavolo a sostituirmi le carte, era serio ma mi guardò negli occhi quel mezzo secondo in più per rassicurarmi e dirmi che era tutto ok, che stavo andando bene e che presto sarebbe finito tutto al meglio. Prima ancora di terminare il gioco e di aver fatto sì che il prescelto vincesse il gioco come previsto, Leon era già uscito dal club.

Verso le cinque se ne andarono tutti. Mi sciacquai con lentezza, per riprendermi. Quando tornai in sala c’era un contratto sopra il bancone per una cifra importante. Daniele di fronte a me ci tenne a specificare “Le partite speciali, sono extra”.

Nei mesi successivi queste partite “speciali” accaddero raramente, ma ogni volta, a fine serata, c’era una busta ad aspettarmi. Non vidi spesso Leon, ma pur senza presentarsi di persona, sapeva come mettermi a conoscenza di chi o cosa doveva succedere al club.

La notte della mia iniziazione fu unica sotto tanti aspetti. Certo, cominciava la mia carriera in città, il mio conto in banca prendeva il volo, ma soprattutto, nel primo momento esatto in cui avevo tutto sotto il mio controllo, desiderai follemente poterlo perdere completamente, quel controllo. Fu così che incontrai Alice, qualche settimana dopo, nel locale di Leon. Ma questa è un’altra storia. 😉 

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