Il messaggio che compare sullo schermo del cellulare è chiaro e imperativo, soltanto a leggerlo mi viene un capogiro: “Scopare al telefono“, c’è scritto. “Ora.” Quando poi il telefono squilla non sono nella mia migliore situazione. Interrompo tutti quanti e finisco con il loro sguardo addosso. Metto giù, abbasso la levetta per togliere la suoneria e torno a concentrarmi. Per un attimo anche il resto dei presenti sembra assecondarmi – lo fanno per carità cristiana, – ma io ho riconosciuto quel numero, è il suo numero. Una vibrazione interrompe il silenzio.
Mi alzo dalla ginocchiera ed esco mentre gli sguardi di tutti mi seguono. Quando sono quasi in canonica Don Antonio mi squadra mentre sgrana il rosario.
Non posso farlo in chiesa, ma da quando ci siamo sentite la prima volta la passione che mi ha colta è stata irrefrenabile. Il mio sesso è aperto come un fiore sbocciato, c’è rugiada tutt’attorno e l’unica cosa che desidero ora è sentire la sua voce e toccarmi seguendo le sue parole sensuali e coinvolgenti.
C’è un vecchio confessionale dismesso nel corridoio laterale della canonica, è un posto perfetto per i nostri incontri. Quando ho cominciato sentivo solo il peso del peccato su di me e dovevo trovare una valvola di sfogo, sapevo che tra tutti i peccati, soddisfare il mio piacere in solitudine non sarebbe stato il più grave. Quando sono da sola, però, io non mi basto. Non ancora, come mi suggerisce spesso Madame Beatrice.
“Sei in ritardo,” mi dice stizzita con quel tono di voce che riesce sempre a rapirmi e portarmi in un altro mondo. Un mondo in cui sono libera da tutte le regole, in cui gli sguardi delle persone mi accarezzano invece di giudicarmi.
“Madame, mi perdoni. Ero al lavoro.”
“Gli accordi sono questi, Laura…” mi dice usando il mio vero nome di battesimo. È stato così bello potersi aprire con lei. “Sei seduta? Alzati in piedi.”
“Ma perché?”
“Perché oggi voglio prenderti da dietro e bermi la tua fica dalla coppa delle mani.”
Quando mi dice così ho un capogiro, mi sento svenire. Lo stomaco mi va a fuoco e la pancia borbotta. No, non è la pancia. È più sotto. Mi sto bagnando ancora.
“Appoggiati al muro e fai la brava con la tua Madame…”
Mi appoggio alla parete interna del confessionale dopo aver controllato ancora una volta che nessuno stia passando per il corridoio, la tenda è integra, anche se impolverata, e la tiro ancora una volta per assicurarmi d’essere invisibile agli sguardi degli altri.
“Ora la mia mano è la tua mano, e tu sei la mia troia. Voglio prenderti come mi pare mentre mi sgrilletto. Ho aperto le gambe e mi sto già massaggiando la fica.”
Mi dice di alzare la gonna e io lo faccio. Mi dice di scoprire le natiche e io provo un piacere liberatorio quando le chiama ‘il culo’. Mi di sculacciarmi e a ogni colpo il mio sesso si apre sempre di più, vuole qualcosa in cambio, è affamato, chiede di essere riempito. E le mi dice di farlo e io eseguo con precisione.
“Ti tocco la passera da dietro, ti mordo il culo…” Con tre dita mi pizzico le natiche e sento che sto già raggiungendo il picco di piacere.
“T’infilo tre dita dentro adesso, piano e poi più forte. Vado in cerca del tuo piacere fino a che farti urlare, ma con l’altra mano ti tappo quella bocca.”
Con tre dita mi entro dentro e sì, la prima cosa che il mio corpo mi dice di fare è proprio aprire la bocca per emettere un urlo di piacere. Mi tappo le labbra, mi mordo le dita, mentre insisto con l’altra mano, che non è più mia, è la mano di Madame e sento tutto girare. Non so più chi sono, non so più cosa provo, so soltanto che voglio esplodere di piacere. La mano di Madame è madida del mio umore e intanto al telefono continua a impartirmi ordini. Mi dice come inclinare le dita, come massaggiare il clitoride, non mi da pace e mi lascia lì, in piedi nel confessionale finché non mi sento svenire dal piacere e un fiotto liquido mi si rovescia sulle gambe fino al pavimento.
Quando la telefonata finisce me ne torno alla novena come se niente fosse successo. Mi tremano le gambe, ho i brividi che mi scuotono. All’uscita sento qualcuno che si lamenta perché il cane ha di nuovo urinato nel vecchio confessionale. Cagna, li correggo col pensiero. Proprio come mi chiama Madame Beatrice.