Una notte e forse mai più

Racconto Erotico Automobile Sportiva Giulia Quadrifoglio

racconto di Jean Paul Mendoza

È notte, una notte di mezza estate. Nonostante tutto la città si è svuotata, mi sento libero, siamo io e lei. Solo io e lei liberi di vivere e godere di questo spazio che ci circonda. Ho dovuto procedere con calma con lei, questa non è una di quelle con cui puoi subito lasciarti andare ai tuoi peggiori stimoli, alle tue voglie più profonde, questa te la fa pagare. Ci ho messo un po’, mi ha fatto capire subito che qui non si scherza, che qui ci vuole rispetto. Ma poi, pian piano, man mano che io prendevo confidenza con il suo carattere, lei si è lasciata andare, sensuale e impetuosa. 

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Ora è qualche giorno che ci frequentiamo e ho iniziato a prenderci le misure, so cosa posso fare, come posso farlo e quando posso farlo. Questa sera è tutta nostra, stasera tocca a noi. Ora, dopo qualche minuto per ritrovarci la sento, è calda, è pronta, freme, ne ha voglia come me più di me. No, più di me impossibile ma non glielo lascio capire che questa poi me la fa pagare. Sono legato intimamente a lei, sono parte di lei, prolungamento sensuale delle mie braccia, delle mie gambe, dei miei neuroni dei miei istinti. Ora siamo una cosa sola, niente e nessuno può fermarci*. Ho caldo, sudo ma non mollo, tutto è perfetto, è il momento, la mia mano scivola lenta alla mia destra, ruoto il manettino e lo posiziono su Race, la Giulia è percorsa da un fremito lussurioso, liberata dalle briglie elettroniche e morali che la vogliono educata, civile e carina, ora è libera per essere furiosamente se stessa. Affondo il gas, le farfalle si spalancano, i cilindri, uno a uno vengono investiti da un’onda di miscela vitale, il V6 biturbo si scrolla di dosso la polvere, vince l’inerzia e prende ritmo, tremila, quattromila giri, le turbine entrano in pressione e iniziano a soffiare corpose nei condotti di aspirazione, la botta di coppia mi travolge e mi seduce, la potenza travolgente del motore attraversa il cambio, l’albero di trasmissione in fibra di carbonio, investe prima il differenziale e poi le gomme e la macchina viene lanciata vigorosamente in avanti. Il telaio, esoscheletro metallico delle mie voglie più profonde, agglomerato di acciaio che trasforma la meccanica in estasi, a cui sono legato intimamente non fa una piega, io sono lei, lei è me, siamo un unico fascio di nervi di acciaio e carne fusi assieme. La guido, la affronto, le stuzzico, la provoco, lei mi asseconda, voluttuosa nei suoi versi e nel modo in cui trasforma fredde leggi fisiche in emozioni, si lascia guidare mi vuole far divertire, più oso e più mi sprona ad osare, ogni cambio di marcia è un sussulto, un urlo, una fucilata di passione fiamme e benzina, la percepisco sui polpastrelli, la sento nel midollo, mi possiede.

Con lei si può giocare certo, ma si può anche fare sul serio. Lungo questa strada che ho percorso centinaia di volte ma mai così, mi sento realizzato. Mi bastava lei e la libertà concessami dalla notte. L’abitacolo, buio, è illuminato solo dalle luci del cruscotto che si inseguono a velocità folli, sto facendo una cosa vietata, è più bello. La strada si stringe, il drammatico V6 da 2 litri e nove è caldo, l’olio del cambio ha raggiunto la viscosità ideale, giù una marcia, gas a fondo, la lancetta del contagiri si pianta in coppia, il motore, poco fa freddo, roco e goffo, adesso è libero di slegarsi, scateno i 500 e passa cavalli senza alcun ritegno, questi spalancano le narici, si tendono in avanti e corrono sempre più forte, sfondano di slancio quota 4000 giri e si lanciano verso il limitatore con esuberanza. L’aria fresca della sera è ossigeno per questi polmoni di alluminio. Ho il finestrino aperto, la radio spenta, stasera voglio farla gridare stasera voglio sentirla urlare, non me ne frega niente. Il frastuono del motore si abbatte sulle montagne attorno a me e ritorna indietro indietro amplificato, sono un boato che corre su ruote veloci, il volante si muove svelto seguendo la strada che si srotola sotto il telaio, danzo fra una curva e l’altra con il cuore gonfio di passione. Guido pulito, il grip è totale, l’accelerazione brutale, il motore è drammaticamente biblico nella sua voce, nei suoi rauchi sussulti in rilascio, negli scoppi al cambio marcia nel suo impetuoso latrato quando vicini al limitatore. La sento sui polpastrelli, la sento sulla schiena, la sento nel cervello, è un’esperienza totalizzante, un unico flusso di velocità, passione, concentrazione, violenza. Le gomme sono sempre più calde, il contatto con l’asfalto si fa sempre più appiccicoso le prestazioni migliorano ulteriormente. Dio quanto la amo.

E poi è bella, una volta terminato il tripudio di emozioni posso stare minuti fermo a guardarla, ad osservarla, a spolparla con gli occhi. Rossa come la passione, il sangue la benzina giusta, bassa acquattata sulle ruote, sinuosa, lancinante, vigorosa, sembra un gattone pronto a scattare sulla preda. I grossi fianchi posteriori, l’abitacolo spudoratamente spostato all’indietro, il cofano lungo e piatto a coprire il suo cuore pulsante. Potrei passare ore a guardarla, ad amarla a cercare di imprimere nel mio cervello ogni singolo istante passato assieme. Ogni metro percorso assieme è stato epico, ogni nota prodotta dal V6 degna di venire ricordata per sempre, ogni vibrazione del suo telaio degna di diventare parte di me.

Devo fare veloce, abbiamo poco tempo. Ho 35 anni e, me ne rendo conto, non amerò mai più come quando ne avevo 15 d’estate al mare. Non è vero, ho 35 anni e, anche solo per un mese, sono tornato ad amare come una volta. E, come una volta, se n’è andata.

E mi manca da morire.

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*niente e nessuno può fermarci, nemmeno quella sciocca Renault Zoe della municipale, butto dentro la terza, entro di traverso in quel viale laterale e sparisco. Non mi hanno nemmeno visto, forse, una macchina così, se la sono solo sognata.

In collaborazione con RollingSteel.it
(photo by courtesy of RollingSteel)