Incesto con mio fratello

Racconto incesto con mio fratello

di Madame Gisele

“Ecco, lui è Giacomo. Giacomo, lei è Federica”. Con questa frase, mio padre mi presentò il mio fratellastro, sbucato da una sua vecchia relazione di vent’anni prima. Ciuffo biondo su un occhio, maglietta dei Nirvana, cintura con le borchie e sacco in spalla: un hippie fatto e finito, che sarebbe rimasto con noi, va’ a sapere per quanto tempo.

“E per quanto ci dobbiamo tenere ‘sto Kurt Cobain dei poveri?” gli avevo chiesto non appena il tizio, dopo un’alzata di testa a mo’ di saluto, era sparito nel seminterrato, dove c’era una specie di appartamentino. Bagno, angolo cottura e un letto con la tv. Noi lo usavamo come lavanderia, ma mio padre aveva deciso di adattarlo per questo sconosciuto. Aveva comprato delle nuove coperte e lenzuola e perfino un vaso di fiori (finti) per rallegrare l’ambiente.

“Non lo so, fin quando vuole. Sii gentile, sua madre se n’è appena andata. Io esco, ci vediamo dopo” mi aveva risposto quell’ex hippie con la coda con cui avevo in comune il 50% del DNA. Era merito suo e dei suoi trascorsi allegri, se adesso mi ritrovavo in questa situazione. Ma la madre di Giacomo non era morta: semplicemente, un bel giorno aveva deciso di spassarsela in giro per il mondo, con tanti saluti al figlio.

Mi misi a preparare le lasagne, mentre rimuginavo tra me e me la faccenda. Da sempre, eravamo solo io e lui: anche mia madre se ne era andata. Ma lei aveva preferito farlo subito, sei mesi dopo la mia nascita, non aveva aspettato vent’anni. E forse – ragionavo – aveva fatto bene. Non puoi sentire la mancanza delle cose che non hai avuto e, di conseguenza, non puoi starci male. Ma questo fratello? Era destinato a restare o era di passaggio? Che tipo era? Valeva la pena provare a diventare amici?

“Posso darti una mano?”.

La voce alle mie spalle mi aveva fatto sobbalzare, mentre giravo il sugo. Era lui, con un asciugamano intorno al collo e i capelli bagnati e pettinati all’indietro. Senza quel ciuffo, scoprii i miei stessi occhi azzurro chiaro sul suo viso. Ma sì, in fondo potevo provare a scoprire com’era e valutarlo. “So che sembra incredibile” aggiunse “ma so cucinare!”.

“Grazie” risposi “prendi la farina e le uova, devo preparare la sfoglia”.

Era davvero capace, anche più di me. Io cucinavo perché dovevo, lui perché era appassionato. Spignattando, mi raccontò la sua vita e anch’io iniziai a sbottonarmi un po’.

Si muoveva agile in cucina, con una manualità non comune. Ad un certo punto, si mise dietro di me e mi mostrò come impastare. Le sue mani, infarinate, si intrecciarono alle mie e iniziarono a spingere il composto lentamente. E, in quel momento, un brivido gelato mi corse giù per la schiena. Sentivo il suo corpo appoggiato al mio, le sue braccia circondarmi e, ad ogni spinta, anelavo che fosse un’altra parte del corpo a spingersi dentro di me. Sentivo già la mia fica tutta bagnata, anche se una parte molto piccola di me gridava “È tuo fratello, cazzo!”.

Ma non c’era niente da fare: più lui spingeva, più io mi abbandonavo a quella scena alla “Ghost” con la farina al posto dell’argilla. D’un tratto, chiusi gli occhi per vivermela al 100% e sentii il suo naso farmi il solletico e scivolare sul mio collo, seguito dalle labbra. Irrigidii la schiena, mentre lui scendeva più giù, a trovare l’incavo della spalla.

Le mani si sciolsero dalle mie: risalirono a cercare i bottoni della camicetta e si infilarono a stringermi i seni. Lasciai andare un gemito di piacere, mentre lui mi accarezzava i capezzoli piano e allo stesso tempo in modo deciso. Solo allora mi voltai e mi avvinghiai a lui, mettendogli le mani nei capelli e infilandogli la lingua in bocca. Ragazzi, che bacio!

Mi staccai col fiatone. “Non possiamo” ansimai “siamo fratelli…”.

“Fratellastri” rispose lui, mordendomi il collo “Ma non ci conosciamo ancora, quindi non vale, siamo ancora due estranei”.

Giacomo mi mise a sedere sul tavolo, spingendo via i barattoli di farina, e mi strappò via pantaloncini e slip con un unico gesto. Lo attirai a me di nuovo e gli abbassai i boxer, scoprendo il suo enorme uccello eretto e prendendolo in mano. Su, giù, su, giù… fin quando me lo tolse dalla mano e mi penetrò lentamente. Mi avvinghiai a lui, desiderando averne sempre di più e allargando le gambe il più possibile. Me lo sentivo dentro, a riempirmi tutta, e anelavo ad averne ancora.

“Ti prego, sì” gemetti “di più…”. E mi accontentò, senza farsi pregare. Le mani sotto il mio culo, spinse ancora più a fondo, mandandomi in estasi. Il tavolo si muoveva, una spinta dopo l’altra, mentre io cercavo di fondermi ancora di più con lui. Gli mordevo il collo e i lobi mentre mi scopava selvaggiamente, senza interruzioni, fin quando non raggiunsi l’apice e lanciai un urlo che riecheggiò in tutto l’appartamento. Allora anche lui si lasciò andare, finalmente, venendo dentro di me con un gemito. Gli accarezzai i capelli bagnati, mentre lui appoggiava la testa tra i miei seni.

Che dire… speravo che sarebbe rimasto con noi molto a lungo!