Trasgressioni silenti

Racconti erotici d’autore: i nostri pensieri perversi

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Era sbagliato, completamente sbagliato, ma non riusciva a smettere di fantasticare.

Mentre passava il rimmel sulle ciglia, tentando di allungarle, pensava che non era mai stata bella e nemmeno carina.

Qualcuno l’aveva generosamente definita “un tipo”, ma in tutta onestà anche il suo carattere e la personalità le sembravano privi di interesse, anzi, si riteneva una persona banale. Perfettamente integrata nel mondo moderno, piallata su un modello di mediocrità vincente, era giunta ai venticinque anni senza scosse, senza salite o discese, probabilmente addormentata.

Si era risvegliata un sera di maggio, sull’imbrunire, mentre tornava a casa a piedi dopo il lavoro part time di barista che le serviva per pagarsi qualche extra, dato che i genitori la mantenevano all’università concedendole uno stile di vita relativamente spartano. Attraversando un piccolo parco, ancora popolato da anziani accompagnati dalle proprie badanti, incontrò Lara, una ex compagna di liceo che non vedeva dal giorno degli orali. Era il prototipo della vincente, bella di quella bellezza imperfetta e seduttiva, con gli occhi troppo grandi per quel viso magro, le labbra sottili e le spalle larghe. Una personalità così forte, tipica di chi ha dovuto sgomitare per farsi notare, la portava a tentare di ammaliare tutti, non celando il desiderio di essere favolosa, stupenda e invidiabile.

La odiava e amava per questo, perché sentiva ogni volta di essere attratta dentro la sua orbita, in una danza snervante di gioia e dolore, una giostra impietosa di salite e discese, scadenziate da quel carattere volubile e indomabile.

Scambiati alcuni saluti di circostanza, Lara la invitò ad una piccola festa tra amici per quella stessa sera e Moira, riluttante, accettò.

Sui muri dell’ingresso del piccolo appartamento troneggiavano poster ingialliti di vecchi film d’autore e foto confuse, fissate con le puntine alle porte rovinate. Facendosi strada tra i ragazzi con i bicchieri di birra in mano, raggiunse l’amica che stava fumando una sigaretta sul balcone abbracciata ad un tipo che sembrava essere completamente fuori luogo in quel contesto.

Camicia stirata di cotone azzurro, maniche lunghe risvoltate, pantaloni beige e scarpe sobrie, faccia sbarbata e capelli lunghi fino alle orecchie, lisci, biondicci e pettinati.

Dopo averlo osservato a bocca aperta senza ritegno, facendosi notare da Lara, troppo sicura di sè per sentirsi minacciata, salutò l’amica con noncuranza. Si intrattenne brevemente con la coppia perfetta, due belli e consapevoli di esserlo, stranamente inseriti in un contesto di hipster, poser, alternativi e “artisti” nullafacenti che passavano le nottate sui divani degli amici e poi si allontanò, dirigendosi verso il misero tavolo col cibo. Parlò con aspiranti attori, fotografi improvvisati, studenti di lettere classiche da un decennio, critici cinematografici in erba con canali youtube incentrati solo sui film muti ungheresi, pensando solo a quanto avrebbe voluto graffiare la faccia di Lara, deturparle il bel faccino truccato, schiaffeggiarla fino a toglierle quell’espressione sicura e, spostandola a calci, avventarsi sul suo ragazzo.

Era sbagliato, completamente sbagliato, ma non riusciva a smettere di fantasticare.

Probabilmente la teoria per cui l’energia che emaniamo può essere percepita dagli altri esseri umani, se recettivi, è vera, dato che lui si girò di scatto, guardando Moira negli occhi. Restarono incollati da un lato all’altro della stanza senza preoccuparsi dei presenti. Sembrava che il resto dell’appartamento fosse stato fagocitato da un buco nero e loro due, sospesi, galleggiassero nell’aria rarefatta. Non si rese nemmeno conto di come accadde, ma si ritrovò in un cesso lurido, con le mattonelle rotte, marroncine, appoggiata ad una lavatrice, le mutandine in mano e questo bellissimo ragazzo dal fisico asciutto e definito, che le leccava la figa toccandole le tette.

Lentamente lui salì facendosi strada con la lingua lungo il ventre, l’ombelico, i capezzoli, fino al collo e le orecchie. Un orgasmo fortissimo le esplose in gola, mentre con le mani gli afferrava il cazzo durissimo, strofinandoselo addosso, sentendo la cappella sul clitoride. Voleva prolungare la sensazione e se lo infilò dentro, mentre il ragazzo senza nome le afferrò il culo affondando le dita nella carne e spingendola a sè, per farglielo sentire ben dentro, fino in fondo. In effetti le sembrava di essere completamente posseduta da quel membro grosso e duro, quasi le potesse toccare la punta della testa, aprirla e uscire verso il soffitto scrostato. Inarcò la schiena alzando ancora il bacino, per sentire ancora di più la punta muoversi dentro, con le mani si aggrappò al muro freddo e in quell’istante l’orgasmo che sembrava non essersi mai arrestato subì una nuova spinta, fino a raggiungere un nuovo apice. Si guardarono per qualche istante, appesi a quel momento che stava unendo così bizzarramente due sconosciuti, e mentre Moira tratteneva il desiderio di urlare con la faccia rossa e gli occhi spalancati, lui estrasse il cazzo e lei, con un gesto rapido e istintivo, scivolò giù col culo sul pavimento aggrappandosi a quel membro ancora duro e sporco di muco. Obbligandolo a chinarsi leggermente, iniziò a succhiarglielo come un’affamata si avventerebbe su un gelato. La lingua impazzita, le mani stringevano spavaldamente le palle e stuzzicavano l’ingresso dell’ano, quando un fiotto di sperma caldo uscì violento, inondandole la bocca e la gola.

Dopo qualche minuto, si resero conto che qualche ubriaco stava bussando alla porta del bagno e senza parlare, si rivestirono.

Madame Elizabeth