Sesso con la propria Capa

Racconto di sesso con la capa che scopa un dipendente

Quando stavo per venire lei l’ha capito, mi ha sentito tremare… io mi sono trattenuto, non sapevo se era presto, l’avevo sentita tremare un paio di volte, ma era la prima volta che arrivavamo fin lì. Laura si è girata, si è inginocchiata sulla moquette e ha voluto che lo facessi sopra di lei. Mi ha indicato la faccia, gli occhiali nuovi dei quali si era vantata pochi giorni prima, la camicetta sbottonata dalla quale le avevo tirato fuori i seni sodi e consistenti: i suoi capezzoli piccoli e scuri sono spariti sotto un pioggia bianca come neve. Non ho mai sborrato tanto nella mia vita e oggi non faccio che pensarci e rivedermi la scena nella mente al rallentatore. L’ho rivissuta durante tutto il weekend e non riesco a togliermi dal naso il profumo intenso della sua passera rosa confetto. Mi scuoto mentre sono in ascensore e Galimberti mi guardava come se fossi un alieno. L’ascensore si ferma al terzo piano e quando si apre dall’altra parte c’è lei. Gli stessi occhiali, un paio di pantaloni attillati che mostrano le sue cosce tornite da anni di nuoto semi-professionistico, la vita strettissima che e piatta nascosta dietro una maglietta vaporosa che le mimetizza le forme. Quei seni polposi che ho masticato solo pochi giorni fa sono lì sotto, a poche decine di centimetri da me. Lei mi guarda dietro alle grandi lenti sottili dal riflesso viola, gli occhi leggermente truccati e quel sorrisetto sfacciato che sembra parlare la lingua del suo corpo, mentre la lingua della mente fa buon viso a cattivo gioco per non insospettire Galimberti.

“Buongiorno, Cocchi. Buongiorno dottor Galimberti.”

Galimberti piega il capo ossequioso e si lancia in uno sproloquio sul meteo e sulla partita dell’Inter. Il sorrisetto di Laura mi parla e dice: “Appena questo coglione esce dall’ascensore voglio che mi mordi, che mi succhi e che poi mi apri per bene e mi soffochi col tuo bel cazzone.”

Il coglione esce dall’ascensore, Laura mi guarda e sembra che i suoi occhi mi piantino contro la parete della cabina. Vorrei tanto che l’ascensore si fermasse e che potessimo farlo lì.

“Cocchi,” mi dice lei quando rimaniamo soli. “Ho ancora il sapore della tua sborra in bocca, lo sai?” E nel farlo mi infila una mano nei pantaloni e con le unghie laccate di fresco s’insinua nei miei boxer e mi graffia l’uccello che è già in tiro da un po’. Estrae la mano e si lecca le unghie come una gatta che tortura la sua preda.

“Avevi detto che era solo una volta,” le dico io. “Che il vicepresidente non può stare in certe posizioni per molto tempo.”

“La pecorina sulla fotocopiatrice!” fa lei mettendosi a ridere. “Io preferisco cavalcare i cazzi come il tuo.”

“E il lavoro? E il codice etico?”

“Ecco, riguardo all’etica ricordati che prima vengono le signore.”

“Pensavo che l’altro giorno fossi venuta.”

“Non ho detto quante volte devono venire prima le signore.”

“Quante?”

“Devo pisciarmi addosso. Quindi mangia bene in mensa perché stasera fai gli straordinari.”

L’ascensore si apre e il mio capo se ne va. Il suo culo sodissimo che aspetta di nuovo che il mio dito lo riempia mentre mi fotto quella rosa profumata fino a farla pisciare.

Altroché straordinari. Chissà se col sindacato posso farmi passare dall’azienda qualche pillola blu.