Sesso in tre: un toy boy e un triatleta tutti per me

racconto sesso in tre

Racconto di Madame Elizabeth

Ti guardo dormire, col volto rilassato, la pelle distesa, senza rughe, nemmeno un piccolo segno dello stress quotidiano tra le sopracciglia. Niente. I tuoi capelli sono ancora castani, folti, abbastanza lunghi da cadere sulla fronte e coprire gli occhi quando stai sopra di me, mentre scopiamo.

Ti scruto come se dovessi scoprire un segreto, mentre invece voglio rubare qualcosa. Ti bacio aspirando una parte di te, la tua giovinezza. Ti lascio entrare dentro di me sperando che una scintilla di quel futuro più lungo in cui tu confidi mi venga ceduta.

Solo dieci anni, siamo entrambi nella golden age, ma io sento il suono terrificante della fine, del passaggio a qualcos’altro. Sono giovane e bella, così dicono, eppure percepisco la fragilità di questa condizione. Come se una forza estranea potesse sottrarre dalla mia disponibilità questa grazia, come se ogni mia azione fosse atta a perpetrare nel tempo il mio aspetto.

Mi giro e vedo Giuseppe, si sta svegliando e mi avvicino a lui. Le lenzuola gli scoprono il petto e non posso che soffermarmi sulla serie di muscoli asciutti e scolpiti che disegnano ogni parte del suo corpo. E’ un atleta e a toccarlo sembra marmo, anche tra le gambe si difende bene, nonostante abbia quindici anni più di te, che invece hai la pancia rilassata e le braccia robuste. Tu preferisci sfasciarti la sera dopo il lavoro nei locali della Bologna bene, mentre Giuseppe va a correre o si butta in piscina e macina chilometri su chilometri e si spacca nel garage di casa con i pesi e gli elastici e le flessioni. Vorrei vederlo mentre si allena, immagino di aggrapparmi a lui, sudato, di distrarlo e farmi sbattere a terra, sul tappetino, aprire le gambe e sentire quante endorfine ha ancora addosso.

Di sicuro in questo momento posso approfittare dell’alzabandiera mattutino, mentre tu e la tua giovinezza dormite e noi maturi siamo abituati a meno ore di sonno, perché la vita, cazzo, la dobbiamo mordere velocemente, non abbiamo un secondo da perdere. Mi avvicino e appoggio il mio corpo al suo, i seni sulla sua spalla, la figa sulla coscia, e indirizzo la mano verso l’arnese che già dalle lenzuola intravedo più sveglio del suo padrone.

Non lo lascio parlare, scendo per una leccata veloce all’uccello e senza indugiare salgo su di lui, che pronto mi afferra i fianchi con le mani ruvide per i pesi e per le uscite in bici strizzando la carne soda. Mentre lo cavalco accarezzo il suo petto e guardo quegli occhi blu glaciali, agonistici, determinati nella performance, pronti a darmi tutti i centimetri che ha e oltre, a perlustrare ogni spazio libero. Porta una mano sulla mia nuca, per avvicinare le nostre bocche e baciarmi in un modo intimo, quasi dolce, in contrasto con tutto il resto. E in quel bacio c’è tutto, tutti i non detti, tutta l’assenza e l’indifferenza che ci siamo imposti, c’è l’apertura di due vite che erano barricate dentro schemi rigidi. Le nostre lingue si cercano, due magneti, e aumento il ritmo della cavalcata, prendo tutto senza timore, il mio amante ha la resistenza di un lottatore ed è come se i nostri corpi stessero lottando su un ring mentre i cervelli lentamente entrano in connessione.

Con un movimento agile approfitta di una mia pausa e inverte la posizione. Ora è sopra, alzo le gambe e appoggio i polpacci sulle sue spalle da nuotatore. Guardo ipnotizzata i muscoli delle braccia e gli addominali che si contraggono mentre colpo dopo colpo gli orgasmi ancora timidi e brevi si trasformano in lunghi e prepotenti scosse. Alzo le braccia in segno di resa, mi mordo il polso per non svegliarti e godere di Beppe senza distrazioni. Non è stanco, è una macchina e più vengo più si galvanizza, mi tocca il clitoride con la mano, il mio sesso è una nuova meta da superare e io godo seguendo il suo ritmo perfetto.

Butto lo sguardo verso di te e vedo che ti stai svegliando, metti a fuoco l’immagine dei nostri corpi e lentamente spalanchi gli occhi, nei quali leggo una punta di rabbia per essere escluso e di eccitazione che vince la tua pigrizia mattutina. Ti avvicini a noi e io, per darti il benvenuto ti afferro l’uccello e mi lo porto alla bocca, inghiottendolo. Questa iniziativa spiazza entrambi e per qualche istante sono l’unica a darsi da fare. Capisco che ora ho il controllo della situazione e posso realizzare tutte le mie fantasie. Libero la bocca, mi sposto verso di te ributtandoti a schiena sotto e salgo sopra il tuo bel cazzo lucidato, lo infilo nella passera e lo assaporo per qualche secondo. La differenza la sento, la tua cappella è grande, larga, si espande e riempie ogni spazio, basta un piccolo movimento per farmi sobbalzare, essendo già eccitata e provata per la scopata agonistica. Mi giro verso Beppe e lo tiro verso di noi, lo bacio come prima, per riaccendere la scintilla di prima e lascio che tutto di me si espanda e si duplichi. Mi chino su di te, come se fossi una bici da corsa e offro il culo a lui, timorosa ma curiosa. Senza alcun imbarazzo, da vero maschio alfa, mi inumidisce l’ingresso con la saliva e ci spranga dentro il cazzo nuovamente duro e privo di alcun cenno di stanchezza. Quest’uomo deve aver allenato ogni parte del suo corpo alla disciplina più ferrea penso, mentre tu, avvantaggiato da un cazzo più largo di diametro non devi quasi muoverti e gemi mentre una riga di sudore già scende dalla tempia.

Accovacciata e penetrata contemporaneamente abbandono ogni controllo sul corpo che gode in modo confuso, ma sarebbe meglio dire equamente distribuito. I nostri tre corpi incollati tra loro hanno trovato un ritmo comune, lento, quasi un moto perpetuo che, però, accelera impercettibilmente finché inizio a dare segnali di cedimento, mi tremano le gambe, sono esausta. Venitemi addosso, chiedo e senza farmi pregare sento i vostri uccelli uscire e prima il tuo poi quello di Beppe scaricare sulle tette, sul culo, sulla faccia, sulla schiena e chissà dove getti di sperma caldo.

Passano pochi istanti prima che, senza badare a non sporcare le lenzuola, ci stendiamo tutti e tre vicini, le mani intrecciate a guardare il soffitto in silenzio.

Ho fame, borbotti, mi guardi, mi baci, alzi la cornetta del telefono e ordini la colazione in camera. Ci vorrà una mezz’ora, avvertono.

Faccio una doccia, allora, sussurro. Venite con me? chiedo. E’ grande, aggiungo.

Entriamo ridacchiando e apriamo il getto immenso appeso sopra le nostre teste. La saponetta è già pronta e ti offri di insaponarmi per bene, Beppe per aiutarti massaggia la schiuma sulle mie tette, scende sui fianchi, lava anche la figa, scivola dentro e fuori e inaspettatamente gemo di nuovo, tra un leggero dolore per il troppo sfregamento e l’eccitazione ancora presente. In un attimo mi ritrovo il suo cazzo dentro, infilato da dietro, mentre tu ti inginocchi e dopo aver lavato via la schiuma mi lecchi il clitoride come se fosse un gelato. Mi reggo in piedi a fatica e rido per i troppi orgasmi, per questo senso di onnipotenza, di immortalità, e torno in me solo quando bussa alla porta il servizio in camera.

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